È piuttosto difficile cercare di esprimere in sintesi quelle che sono le mie credenze, frutto di un percorso personale e professionale vissuto e sofferto. Portato avanti negli anni grazie a una lunga serie di esperienze formative teoriche e pratiche, accompagnate da intense ore di meditazione e riflessione interiore. Una maturazione che sta dando adesso i suoi primi frutti e che continuerà per tutta la vita.
Proverò a delineare le fasi principali del processo che mi hanno permesso di arrivare ad alcune considerazioni che per me sono diventate fondamentali. Prima di iniziare questo breve viaggio insieme a voi, desidero evidenziare una mia caratteristica che mi accompagna da quando avevo pochi mesi di vita e che ha influenzato la mia vita in ogni settore, a cominciare proprio da quello professionale. Sono una psicologa non vedente. Particolarità questa, che mi ha sempre portata a voler eccellere nei miei studi, per cercare di compensare quelle che possono essere le problematiche relative alla mancanza visiva. In particolare, l’importanza dello sguardo e della comunicazione non verbale che cerco costantemente di perfezionare nei miei colloqui, conscia di dover mantenere, per quanto possibile, un continuo contatto oculare con i miei pazienti.
Ma come è iniziato questo percorso che mi ha portata dove sono adesso?
Come ho accennato nella premessa, fin da piccola ho mostrato di avere un grande interesse per i diversi modi in cui gli esseri umani vivono e si confrontano con le proprie emozioni. Questa curiosità mi spinse già dai primi anni di scuola ad analizzare con attenzione gli atteggiamenti e i comportamenti dei miei compagni, cercando per quanto possibile di mettermi nei loro panni per trovare risposte a molti interrogativi sulla mente umana che ancora oggi rimangono, almeno in parte, irrisolti. Dopo aver frequentato un liceo linguistico umanistico che mi permise di approfondire materie letterarie (in particolare il latino) e di entrare in contatto con altre realtà quotidiane diverse da quella italiana (Francia, Spagna, Inghilterra etc.), decisi di iscrivermi alla facoltà di psicologia, sperando di trovare finalmente quelle verità che da tempo cercavo. Ero convinta che questa disciplina avrebbe placato la mia sete di sapere, svelandomi i tanti misteri della vita e dell’essere umano. Mi dedicai per cinque anni allo studio meticoloso di questa scienza, divorando libri e nozioni teoriche seguendo corsi e lezioni che mi fornirono una prima idea delle mille sfaccettature che contraddistinguono la più ampia psicologia. Nonostante tutto ben presto mi resi conto che la teoria, per quanto importante, non bastava da sola a fornire le risposte che cercavo. Il mio sogno è sempre stato quello di svolgere la professione di psicologa e questo richiede molta pratica. Se vogliamo aiutare un paziente a comprendere se stesso non possiamo semplicemente appellarci a dei modelli teorici. Dobbiamo innanzitutto imparare a conoscere noi stessi e ad ascoltarci in ogni momento. Iniziare un nostro cammino interiore che ci consenta di guidare i pazienti nella ricerca del proprio percorso, dei propri obiettivi, della propria meta. Solo così possiamo evolverci e creare assieme a loro, affrontando le mille sfide che la vita ci riserva quotidianamente trasformandole in positive esperienze di crescita.
Per arrivare a questo è necessario raggiungere una profonda conoscenza di noi stessi, al fine di confrontarci costantemente con i nostri lati di luce ed ombra, accettando e comprendendo le infinite contraddizioni insite nell’animo umano, accogliendo e analizzando ogni nostro stato interiore. Processi importanti ed estremamente dolorosi che devono essere accompagnati da una intensa fase di sperimentazione che ci permetta di acquisire sicurezza e ascolto attento, empatia e apertura mentale. Una sperimentazione fondamentale per entrare in contatto con le proprie intuizioni ed imparare ad affidarci anche ad esse, per avvalorarle e integrarle con le tecniche teoriche apprese.
La mia esperienza pratica iniziò negli Stati Uniti dove mi trovavo in quel periodo per completare la mia tesi di laurea (per maggiori approfondimenti consulta il mio curriculum vitae). Le terapie adottate allo Sheppard Pratt Hospital di Baltimora si basavano essenzialmente su un approcio concreto alla risoluzione dei problemi e delle patologie, fornendo ai pazienti strategie utili per affrontare le sfide quotidiane (terapia cognitivo-comportamentale). Il mio rientro in Italia coincise con un momento molto importante della mia vita personale. Un momento che mi costrinse ad intrapprendere un doloroso processo di crescita, terminato con la modifica di alcuni aspetti della mia personalità.
Oltre ad insegnarmi ad apprezzare maggiormente le piccole gioie quotidiane e a vivere la mia vita in modo più profondo, questa esperienza mi ha arricchita molto anche a livello professionale, indirizzandomi verso l’altro versante pratico della psicologia. La terapia psicodinamica, ovvero l’approccio che privilegia l’inconscio e si occupa di risolvere i problemi elaborandoli a livelli più profondi. Ho sempre creduto che le malattie, soprattutto quelle importanti, derivino almeno in parte da conflitti a livello psicologico. Avevo bisogno di comprendere meglio me stessa analizzando i miei stati d’animo, alla ricerca di problematiche irrisolte che mi portavo dietro fin dall’infanzia. Mi riferisco in particolare all’accettazione del mio handicap, vissuto fin da piccola come un grave ostacolo alla mia indipendenza. Una indipendenza che doveva essere conquistata e confermata in ogni momento, per dimostrare a me stessa e agli altri, che potevo fare tutto come le persone vedenti. Pur non avendo mai smesso di voler vivere una quotidianità che sia “normale” a tutti gli effetti, sto imparando ad accettarmi per quello che sono, e non ho più bisogno di nascondere il mio handicap. Essere non vedente fa parte di me. Mi rendo conto di avere qualcosa in meno rispetto ai normodotati, ma so di possedere anche qualcosa in più (ad esempio una maggiore sensibilità che spesso mi porta ad essere molto in sintonia con le mie intuizioni) che sto cercando di utilizzare anche a livello professionale. Invece di rinnegare costantemente la mia condizione, l’accetto e pur riconoscendone gli svantaggi, comincio a scoprirne anche i vantaggi trasformandoli in risorse. Questa accettazione che non significa rassegnazione passiva, mi ha permesso di sfidare i pregiudizi con maggiore determinazione, raggiungendo un mio equilibrio interiore che ha portato un grande benessere sia fisico che psicologico. Il percorso di analisi, iniziato già quando frequentavo le scuole medie, è diventato estremamente importante per arrivare ad elaborare certi punti che mi erano sempre rimasti oscuri. Ero cresciuta e avevo acquisito una consapevolezza diversa, maturata anche grazie agli studi e alle esperienze fatte fino a quel momento. Fu in quel periodo che decisi di restare in Italia per svolgere il tirocinio e l’esame di stato che mi avrebbero consentito di diventare finalmente una psicologa a tutti gli effetti. Nel mio praticantato sperimentai approcci di diverso tipo, che ravvivarono la mia passione per la psicoterapia. La mia sete di conoscenza mi spinse a cercare una scuola di specializzazione che potesse fornirmi maggiori competenze sui vari settori della psicologia. Mi sentivo realizzata come psicologa e volevo passare al gradino superiore per poter finalmente prendere il diploma di psicoterapeuta.
Ma qual’è la differenza fra queste due figure professionali? Lo psicologo fornisce ai suoi utenti un aiuto basato su colloqui di sostegno, strumenti diagnostici, consulenze di rilassamento etc. L’attività dello psicoterapeuta invece, arriva più in profondità dello psicologo e permette di agire sui disagi della persona attraverso l’utilizzo di tecniche che variano a seconda della teoria di riferimento del professionista stesso. Il percorso di psicoterapeuta può partire da una laurea in psicologia o in medicina e richiede di frequentare una scuola di specializzazione approvata dal Ministero.
La ricerca della scuola giusta per me non fu affatto facile. Esistono moltissime scuole che offrono una preparazione professionale eccellente, basandosi su uno specifico modello teorico che fornisce tecniche valide per aiutare i pazienti. Tecniche che vengono messe a punto e perfezionate continuamente negli anni. Questo può rappresentare un aiuto per i terapeuti giovani che possono contare su un percorso abbastanza definito da seguire. Io invece cercavo qualcosa di diverso. Pur non avendo mai messo in discussione l’utilità di queste specializzazioni, sentivo il bisogno di trovare una scuola che offrisse una panoramica di modelli anche molto diversi fra loro. E’ per questo che ho scelto l’approccio comparato, una prospettiva che mi permette di approfondire tutti i modelli terapeutici al fine di poter scegliere quale utilizzare a seconda del paziente che ho davanti. E’ chiaro che ogni terapeuta avrà sempre un modello che preferisce (nel mio caso l’approccio psicodinamico, in particolare la prospettiva junghiana), ma potrà servirsi anche di altre tecniche. Spunti differenti che lo porteranno ad agire in modo diverso in base alla domanda del paziente e agli obiettivi di lavoro che devono essere concordati da entrambi. Ci sono persone affette da patologie invalidanti che non sembrano disposte a compiere un percorso interiore di elaborazione profonda, in altri casi si verificano situazioni nelle quali un terapeuta deve agire in modo rapido sul problema da risolvere. In questi casi sono preferibili terapie diverse da quella psicodinamica. Tanto per fare un esempio concreto, un paziente potrebbe essere interessato a modificare le sue abitudini quotidiane (chiede una consulenza perchè da qualche tempo arriva sempre in ritardo al lavoro), e magari non vuole comprendere il motivo inconscio che lo spinge ad adottare certi comportamenti. Una cosa è certa: ogni teoria ha i suoi pregi e i suoi difetti. Non esiste una verità assoluta. Il dubbio è l’alimento principale della scienza, perchè Proprio nel dubbio coltiviamo le nuove idee. Per questo è sempre importante permettere a noi stessi di analizzare le nostre convinzioni per essere pronti a modificarle nel caso in cui ci vengano proposte idee migliori delle nostre.